lunedì 8 febbraio 2016

Challah (חלה) Ricetta, storia, tradizioni, usi e costumi.





Di Michael ed Eleonora


Potremmo chiudere un occhio sui bagels colorati che impazzano negli Stati Uniti, perchè sappiamo che è solo una moda passeggera.
Potremmo chiudere un occhio sugli sufganyiot al forno invece che fritti e forse anche su un hummus di cannellini.
Potremmo.
Tuttavia, non possiamo farlo su una Challah non intrecciata, o ripiena, o tagliata al coltello o altro ancora, che non vale neanche la pena menzionare.
Soprattutto, non possiamo farlo davanti alla disinformazione imperante sulle tradizioni ebraiche, su spiegazioni troppo spesso inventate, improvvisate, frutto di ricerche frettolose sul web su siti poco affidabili o malamente riassunte.
Non possiamo rimanere indifferenti davanti alla pessima trasmissione di concetti erronei sulla cultura ebraica senza un minimo di ricerca o d’informazione. In generale, ma in particolare sulle challot, che sembrano essere la moda del momento.
La Challah non si tocca. La Challah è sacra. La Challah è piena di simbolismo, storia, fede, religione, cultura e parlarne alla leggera, in maniera scorretta e imprecisa è inammissibile per noi.
E oggi vogliamo parlarvi di questo pane, per noi così importante, anche per farvi capire meglio il nostro sdegno davanti certi "articoli" e foto che recentemente invadono il web.

Il termine Challah (challot al plurale) deriva dall'ebraico Chalal (perforare, fare un buco) e si riferisce in origine non al pane, ma al pezzo di impasto che ne si preleva in offerta all'Altissimo. 
Uno dei riferimenti della Torah alla challah riguarda infatti la porzione dell'impasto data a un Kohain (sacerdote del Tempio), nel libro dei Numeri, Capitolo 15, verso 20 "Delle primizie della vostra pasta preleverete una challah come offerta...".  In realtà, questa non era esattamente un'offerta al Tempio, ma piuttosto una delle ventiquattro gratifiche dei Kohanim. Mentre alcune di queste prerogative erano applicabili solo nel Tempio, la challah poteva donarsi al Kohain in qualsiasi posto, nella Terra di Israele.
Dopo la distruzione del tempio, i Saggi, per non far dimenticare quest’obbligazione, istituirono un cambiamento e oggi, la challah viene prelevata e bruciata, invece di essere donata. In tutte le case ebraiche, un pezzo di almeno 30 grammi di impasto, è prelevato prima di formare le trecce, avvolto in carta stagnola e bruciato nel forno. 
Ma l'obbligo di prelevare la challah, dipende dalla quantità della farina e dagli ingredienti dell'impasto. La challah si preleva unicamente da challlot fatte con farina di grano, orzo, avena o spelta e che contengano acqua nell'impasto.
Non si preleva la challah da impasti che usano meno di 1200 grammi di farina. Si preleva la Challah senza benedizione se la farina pesata è almeno 1200 grammi. Si preleva invece con la benedizione, quando la farina pesata è 1600 grammi o più.
La benedizione si fa prima di intrecciare i pani e si recita:

 “Baruch atah Adonai Elohaynu Melech haolam, 
ahsher kidshanu bemitzvotav, v’tzivanu l’hafrish challah.”

(Benedetto tu sia Signore, nostro D-o Re dell'universo, che ci hai santificato con questo comandamento, e ci hai comandato di separare la challah)

 Una volta recitata, si preleva un pezzo di circa 30 grammi e allo stesso tempo si dice:

"Ha ri-zeh challah" 

(Questa è la challah) 

dopodiché si avvolge in carta stagnola e si brucia.   

Dopo la distruzione del tempio, l'altare è stato simbolicamente sostituito dalla tavola familiare, considerato come un Mikdash Ma'at (un santuario in miniatura) e il Pane della Presenza, dai pani di Shabbat. Il Pane della presenza erano dodici pani non lievitati, chiamati challah sulla Torah, che erano perpetuamente in vista nel Tempio, messi su un tavolo d'oro all'interno della stanza della Menorah che venivano cambiati ad ogni Shabbat.
Solo nel primo Medio Evo, si sviluppa tra gli ebrei di Babilonia l'abitudine di recitare l'Hamotzi a Shabbat e per le feste, su due pagnotte di pane, chiamate Lechem Mishneh (due pani). Le Lechem Mishneh rappresentano la doppia porzione di Manna raccolta il venerdì per Shabbat durante i quarant'anni che gli Israeliti passarono nelle lande desolate dopo essere fuggiti dall'Egitto. L'abitudine di coprirli con un panno (dekel o mapah) è per ricordare la manna, che era protetta da strati di rugiada. Questa è solo la ragione simbolica, ma ce ne sono altre. I Lechem Mishneh devono essere sempre coperti durante il Kiddush (benedizione di santificazione delle feste e del Shabbat). Inoltre, la benedizione del pane normalmente precede quella del vino, ma a Shabbat si inverte quest'ordine. Per questa ragione si copre il pane durante il Kiddush, per fare in modo come se non fosse presente. Poi, coprire il pane invia il messaggio che il pasto comincerà solo dopo la benedizione, per la santità del Shabbat espressa nel Kiddush. In molte famiglie, le challot rimangono coperte fino a dopo la benedizione del pane,, l'Hamotzi.
Generalmente, i sette cibi con cui la Terra di Israele è benedetta, (grano, orzo, uva, fichi, melagrana, olive e datteri) hanno priorità sugli altri cibi. Se succede che si mangino più di uno di questi cibi Nello stesso pasto, devono consumarsi nell’ordine menzionato dalla Torah. Visto che il grano è menzionato prima dell’uva, si dovrebbe consumare prima l’uva e i suoi prodotti, quindi il vino, e poi il pane. Per quello si copre il pane (grano) in modo da non farlo «vergognare del fatto che si beva il vino del kiddush prima di condividere la Challah.
 Anche se alcuni ebrei, soprattutto askenaziti lo fanno, a Challah deve essere spezzata sempre con le mani e mai tagliata. Il coltello è simbolicamente un oggetto di violenza e guerra non ammesso sull'altare di D-o. I pezzi di Challah spezzati vengono lanciati ad ogni commensale per rafforzare il concetto che il cibo viene dal Signore e non dall'anfitrione. Si può anche mettere sul tavolo in modo che le persone possano prendere il loro pezzo, ma mai si da direttamente in mano, poichè è un segno di lutto.
Prima di spezzarla e dividerla tra i commensali, viene recitato l'Hamotzi: 

"Barcuh atah Adonai Elohaynu Melech haolam,
hamotzi lechem min haaretz".

(Benedetto tu sia Signore, nostro D-o Re dell'universo, che dai vita al pane dalla terra)
 
 La Challah viene spezzata a metà e i pezzi vengono prelevati cominciando dal centro del pane, poi si intingono nel sale prima di distribuirli. 

 


Perché nel sale? Se la tavola è un altare, il cibo che si mangia su di essa è un'offerta. Riguardo all'offerta, Levitico 2:13 recita: "Condirai con sale ogni oblazione e non lascerai la tua oblazione priva di sale, segno del patto del tuo Dio. Su tutte le tue offerte metterai del sale". Per questa ragione, mettiamo sale al nostro cibo base, il pane. 
Da una prospettiva più mistica, d'accordo con la Kabbalah, il sale che è amaro, rappresenta la severità divina e il pane, la gentilezza divina. Le due parole in ebraico pane, lechem (לחם) e sale, melach  (מלח) contengono le stesse lettere. Il desiderio umano sarebbe quello di sopraffare la severità del sale con la gentilezza del pane, di conseguenza, l'abitudine comune non è mettere il sale (severità) sul pane (gentilezza), ma di intingere il pane nel sale, cioé, la gentilezza sulla severità.
Inoltre, molti hanno l'abitudine di intingere il pane nel sale 3 volte. La ragione è che il valore numerico di lechem è 78. Intingiamo il pane tre volte, dividendo l'energia di 78 per 3, che è uguale a 26, il valore numerico del nome di D-o. Questo ci ricorda che "...l’uomo non vive soltanto di pane, ma vive di tutto quello che la bocca dell’Eterno avrà ordinato" Deuteronomio 8:3.
Si intinga o no la challah nel sale, è comunque importante avere il sale a tavola. Perchè? All'inizio del pasto ci laviamo le mani e poi ci sediamo, aspettando che tutti gli altri facciano lo stesso. Mentre aspettiamo in silenzio (è proibito parlare tra il lavaggio di mani e la benedizione) siamo privi di mitzvot (comandamenti). In quel momento il "diavolo" cerca di attirare l'attenzione su questo limite. Tuttavia, l'alleanza del sale ci protegge. Che cosa ha a che vedere il sale con il nostro legame con D-o? Il sale è un conservante che non si rovina e non si deteriora mai. Queste proprietà uniche fanno del sale la perfetta metafora dell'eterna alleanza di D-o con il popolo Ebraico.
Poichè è di tradizione mangiare carne a Shabbat, la Challah non deve contenere nessun tipo di derivato del latte di nessun animale, per la regola della Kasherut di non abbinare mai latte e derivati con carni nello stesso pasto.
 Per fare la benedizione, i due pani devono essere completi e non tagliati. Se a uno dei pani manca un piccolo pezzo (fino a 1/48) è ancora considerato completo, anche se in questo caso alcuni rabbini non sono d'accordo. Se una delle pagnotte si spezza, alcuni dicono che possa essere usata se può tenersi insieme internamente, per esempio con uno stecchino in maniera tale da farla apparire intera.
Se due pani infornati insieme si attaccano, possono essere separati e contano comunque come due. in questo caso, bisognerà spezzare il pane partendo dal lato che appare completo.
Un pane rotto può essere "riparato" se messo di nuovo in forno prima dell'entrata di Shabbat. 
Sulla maniera di tenere le Lechem Mishneh durante l'Hamotzi ci sono opinioni diverse. Il modo migliore è avere le dieci dita delle mani posate sui due pani mentre si recita la benedizione. È preferibile tenere il pane che si spezzerà e mangerà sopra l'altro pane che rimarrà intero. Per ragioni kabalistiche, tuttavia, la sera del venerdì, bisognerebbe rompere il pane che è sotto l'altro. Se si vuole adempiere le due opinioni, basterà tenere il pane più in basso più verso di sé mentre si recita la benedizione. Questo si applica solamente al pasto del venerdì sera. I Chabad invece, tengono i due pani uno accanto all'altro il venerdì sera mentre dicono l'Hamotzi, e poi rompono e mangiano quello di destra. Il giorno di Shabbat invece, si tengono uno accanto all'altro con il destro leggermente inclinato verso il sinistro, mentre si recita la benedizione e si spezza e si mangia quello a destra. La regola di tenere le dieci dita che toccano i pani, vale sia il venerdì, che il sabato e in tutte le feste e, a dire il vero, anche nella vita quotidiana.
Generalmente, è il padrone di casa che recita la benedizione e spezza il pane, ma, se ne ha il desiderio, può onorare qualcun altro di farlo. Tutti i commensali ascoltano la benedizione e rispondono “Amen”. Se non hanno parlato prima di ricevere il pane, possono mangiarlo senza recitare la propria benedizione, poiché hanno già adempito alla loro obbligazione di ascoltare l’Hamotzi dall’anfitrione. Se invece hanno parlato tra la benedizione e la distribuzione del pane, dovranno recitare la loro propria benedizione. Nelle comunità Chabad, invece, l’abitudine è che ogni commensale recita la benedizione sul pezzo di pane ricevuto, abbia parlato o no.
È importante che ogni persona riunita alla tavola, mangi un minimo di pane pari al volume di un’oliva ed è preferibile mangiarne un altro uguale immediatamente dopo il primo.
Ma in tutto questo, perché le Challot s’intrecciano?
Lo Shabbat rappresenta l’idea dell’unità. I sei giorni restanti della settimana sono il paradigma della diversità. Sono come le sei direzioni del mondo tridimensionale: nord, sud, est, ovest, sopra e sotto. Durante la settimana siamo in piena ricerca verso l’esterno, pieni di azione e iniziativa, cercando di dominare il nostro ambiente.
Shabbat, invece, rappresenta l’interiore, a Shabbat ci dirigiamo verso l’interno e siamo pieni di unità e la Pace viene con quest’unità. Per questa ragione ci auguriamo “Shabbat Shalom”, Shabbat di Pace e unità. Shabbat rappresenta anche l’interiorizzare le benedizioni accumulate nei sei giorni lavorativi, dirigendole verso le nostre case e le nostre vite.
L’intreccio delle challot rappresenta anch’esso quest’idea di unità. Leghiamo tutto insieme, unendo le diversità della nostra vita in una pacifica armonia e unità che solo a Shabbat possiamo raggiungere e realizzare.

Un po’ di storia.
Gli Askenaziti non avevano un pane di forma o nome speciale per Shabbat, ma usavano semplicemente del pane di farina bianca, chiamandolo semplicemente broyt in yiddish o lechem in ebraico. Fu nel XV secolo che gli ebrei in Austria e nel sud della Germania adottarono un pane ovale, intrecciato, modellato come un pane germanico molto popolare che si chiamava brchisbrod o perchisbrod. 
In onore al sosltizio d'inverno, antiche tribù germaniche preparavano pani speciali, alcuni a forma di animai. Uno di questi pani era ispirato a una vecchia Strega maligna di nome Holle, raffigurata con i capelli lunghi e arruffati. Il pane in questione era fatto attorcigliando l'impasto in modo da somigliare a questi capelli e l'offrivano a Holle, per scappare ai suoi malefici.
Ovviamente, gli ebrei Europei non partecipavano a queste adorazioni e conoscevano poco o nulla di Holle, ma adottarono la forma di questo pane. 
Fu così che il pane intrecciato allusivo a grandi occasioni, divenne la forma più popolare di pane per Shabbat degli Askenaziti. Con il passare del tempo, il pane intrecciato fu sempre più bello e più ricco. L'uso dell'olio nell'impasto replicava i pani offerti nel Tempio. Le uova e meno frequentemente un pizzico di zafferano furono aggiunti per simulare il colore giallo della manna cotta. Uno strato di uovo spennellato conferì al pane un'apparenza brillante e alla fine del XV secolo, fu introdotta la decorazione con semi sulla superficie, soprattutto sesamo e papavero, prendendo la forma e apparenza del pane che conosciamo oggi come Challah.
L'uso del nome biblico "Challah" riferito colloquialmente ai pani del Shabbat, è stato registrato per la prima volta in Austria nel 1488, nel saggio Leket Yosher di Joseph ben Moses dove descrivsse i pani serviti per Shabbat dalla sua insegnate tedesca. Probabilmente, il nome tesesco Holle, suonava come il biblico Challah e così furono nominati anche i pani.
Oggi, l'uso della Challah come pane e come nome è stato adottato dalla maggior parte delle comunità ebraiche nel mondo, incluso in Israele. La Challah israeliana, però, tende ad essere meno dolce e meno ricca delle versioni americane ed europee.

Qualche curiosità
-Tra gli askenaziti del Nord Europa, la maggior parte delle famiglie mangiava pane nero di segale durante la settimana. Per Shabbat, per contro, anche le famiglie più povere volevano assicurarsi di avere pane di farina bianca. Se una famiglia era troppo povera per permetterselo, l'intera comunità ebraica raccoglieva i fondi necessari. 
-Gli ebrei Canadesi di Toronto possiedono un pane unico di ispirazione Polacca per Shabbat, chiamato bulke challah, che coniste in tre medi o dodici piccoli rotoli d'impasto infornati in un solo stampo rettangolare.
-In Lituania e Latvia un pane intrecciato di Shabbat era chiamato kitke (onda). Oggi, in Sudafrica, dove la maggior parte degli ebrei sono originari lituani, Kitke è il nome del pane di Shabbat, mentre Challah è un termine completamente estraneo. Anche il panno con cui lo si copre durante la benedizione, è chiamato "kitke cloth".
-Gli ebrei Yemeniti usano dei pani simili alle pita, chiamati salufe e altri più sottili chiamati lahuh per Shabbat.
-Gli ebrei indiani usano i pani senza lievito locali, naan e chapati. La comunità Bene Israel di Mumbai, aggiunge latte di cocco e zucchero al chapati di Shabbat.
-Per il Shabbat subito dopo Pessah, si usa dare alle challot la forma di una chiave. In yiddish è chiamata schlissel challah ed è molto tradizionale in quel momento dell'anno. Questo si fa per ricordare il momento in cui gli ebrei entrarono alla Terra promessa e la manna cessò di cadere dal cielo e loro cominciarono a produrre e mangiare i frutti della Terra Promessa. La chiave simbolizza la cvhiave del sostentamento che è nelle mani di D-o e le nostre preghiere che ci aprono i cancelli del sostentamento. Un'altra ragione, basata su insegnamenti kabalistici, è che a mezzanotte, la notte del Seder, molte influenze spirituali partono da questo mondo. Nei quaranta giorni seguenti, nel periodo del Sefirat ha'omer, lavoriamo su noi stessi per arrivare a un livello spirituale elevato, per riportare indietro queste influenze.

Se volessimo riferirci a tutte le interpretazioni rabiniche su ogni mitzvah che concerne la challah, o alle differenze di tradizione tra gli ebrei di ogni origine, non la finiremo più, ci sarebbe da scriverci un libro. Abbiamo per forza dovuto decidere di omettere dettagli per concentrarci sugli aspetti più importanti.
Adesso, se avete avuto la pazienza e curiosità di leggere tutto, probabilmente capirete il nostro sdegno per le informazioni erronee che circolano sulle tradizioni ebraiche, in particolare sulla Challah. Capirete come ci si possa arrabbiare od offendere davanti alle visioni aberranti di "challot" ripiene o non intrecciate, o a versioni al latte e burro come quella di Julia Child, o alla famosa "challah" alla zucca di Martha Stewart, solo per citarne alcune.
Nessuno vi proibisce di farle, ma allora chiamatele con altri nomi. Chiamateli pani dolci, brioches, brioche all'olio o come più vi piace, ma non usate il nome Challah quando Challot non sono.

Fonti: 
Encyclopedia of Jewish Food, Gil Marks
La Torah
Tradizioni familiari tramandate (famiglia Meyers-Weil, famiglia Rogluski-Hillman)


Challah

(חלה)


La mia versione di challah, che trovate qui, con il nome di pane dolce del sabato, perchè ripiena, è molto diversa da quella che vi proponiamo oggi. Quella che uso normalmente, senza ripieno però,  ha più olio, più zucchero e meno uova e la consistenza e il sapore più simili a una brioche. Questa invece, èmeno ricca e più simile a un normale pane. Lavorata a mano come si faceva tradizionalmente, ne esce un impasto liscio, elastico, meraviglioso che vi consiglio di provare. Magari provatele entrambe e raccontateci le vostre sensazioni e preferenze. Non ci siamo concentrati su tecniche di impasti di pane del quale nessuno dei due è destro, ma solo sulla tradizione e condivisione che il fare la challah rappresenta. È solo una ricetta dettata dal sentimento e le tradizioni familairi, non una lezione sul pane.
Queste challot sono state fatte all'uscita di Shabbat passato. La challah non è stata prelevata e i pani non sono stati benedetti, permettendomi di fare le foto in maniera poco ortodossa per mostrarvela.
 


la ricetta di Michael

per due challot:
7 g di lievito secco
160 ml di acqua tiepida a 37°C
1 cucchiaio abbondante di miele
80 ml di olio extra vergine d'oliva
2 uova
2 cucchiaini di sale
500 gr di farina di forza

per la doratura:
1 uovo o un tuorlo
1 cucchiaino di miele
semi di sesamo o di papavero

Sciogliere il lievito e il miele nell'acqua tipeida. Sul piano di lavoro, disporre la farina a fontana e versarci l'acqua con il miele e il lievito. Iniziare ad impastare a mano, fino a che la farina avrà assorbito il liquido. Aggiungere l'olio e continuare ad impastare. Aprire le uova, in ciotole separate e scartare quelle che eventualmente abbiano un punto rosso o scuro. Quando l'olio sarà assorbito dalla farina, si aggiungono le uova, una ad una, aggiungendo il secondo solo quando il primo sarà ben distribuito nell'impasto. Solo alla fine, aggiungete il sale. 



Con le mani infarinate, continuare a impastare, fino ad ottenere una palla di impasto elastica,  liscia e setosa che si staccherà dalle mani senza lasciare residui. Ci vuole tempo e pazienza.
Mettere l'impasto a lievitare in una ciotola possibilmente di terracotta, e mai di plastica, unta di olio e coperta da un panno umido in un luogo tiepido, lontano da correnti d'aria, fino a farla duplicare di volume. 



Dividere l'impasto in due parti uguali, poi, dividerne ognuno in tre parti uguali. Questi tre pezzi uguali, formarli in forma di corde da una trentina di centimetri. Unire le corde da un lato e intrecciarle. Ci sono tantissimi modi per intrecciare le challot, a tre, a quattro, a sei capi e oltre. Noi abbiamo scelto la più semplice, come una treccia di capelli, perchè era notte fonda quando le abbiamo preparate.
Porre le challot su una placca da forno unta di olio. Sbattere l'uovo o il tuorlo con il cucchiaino di miele e spennellare il composto sulle challot. Spolverizzare di semi di sesamo o papavero. Lasciare di nuovo lievitare fino a raddoppiare il volume.
Accendere il forno a 180°C. Infornare in modalità statica fino a che saranno dorate e al colpirle con le nocche, faranno un suono di "vuoto". Circa 25 minuti, nel mio forno.

16 commenti:

  1. Interessantissimo, dettagliato e professionale come solo tu sai essere. Ho visto "certi articoli" anche io e ho pensato molto a te e a tutto ciò che questo pane simboleggia. Complimenti e grazie per la cura dei dettagli.

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    1. Scusami, mi sono rivolta al singolare, ma ovviamente il commento era diretto anche a Michael

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  2. Grazie per questo spaccato di vita
    Grazie per averlo condiviso con noi

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  3. Veramente alcune comunità del Mediterraneo, in particolare italiane, usano challot non intrecciate ma a spirale per Ros-ha-Shannah. E' simbolo del "niente comincia e niente finisce"...
    Poi alcuni ebrei del Est europeo chiamano la challah "koyletsch", dal russo "kulitsch". Mia madre, di una famiglia ebrea ukraina, l'ha sempre chiamata così.

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  4. Bellissimo post, ricco di informazioni molto interessanti.
    Vi ringrazio davvero tanto... perché il cibo è cultura, e quando un cibo nasce come sacro è giusto trattarlo in tal modo.

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  5. Grazie mia cara a te e Michael. Splendido approfondimento che incute grandissimo rispetto. Dovrebbero leggerlo in molti.
    Un abbraccio, Pat

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  6. Che bel post! Un grande applauso! E, come darti torto? Piuttosto non chiamatela Challah!
    Un abbraccio

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  7. Grazie a voi per averci insegnato tutto questo

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  8. Bellissimo!! Non ci crederai ma ho letto tutto... hai ragione, nisognava puntualizzare

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  9. Proverò sicuramente questa ricetta, grazie per le spiegazioni dettagliate e l'excursus storico.

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  10. Un post molto interessante, non sapevo tutte queste cose, grazie!!!! Il pane poi è assolutamente fantastico, complimenti, brava come sempre!!!!

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  11. WOW!!! Che botta di cultura....Non mi sono mai informata o cimentata, ma neanche non ho mai mangiato cucina ebraica nonostante mi ispira moltissimo (tra l'altro ho un amico che ha aperto un ristorante a Venezia nel ghetto ebraico).
    Mi segno questa ricetta e chissà magari un giorno la proverò

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  12. Dop aver conosciuto Eleonora grazie al suo challah del sabato, ora non mi resta che iniziare a conoscere meglio Michael con la sua versione!
    grazie

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  13. L'ho preparata! Squisita! Una l'ho riempita con gocce di cioccolato (pane dolce del sabato,che avevo fatto già in passato ed era molto richiesto in famiglia...)e una l'ho lasciata vuota. Fantastica. L'impasto era così morbido, piacevole al tatto e avrei continuato ad impastare tutta la sera, davvero! Quanto scritto da voi è arrivato fin qui...Grazie

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